Fondo per la Repubblica Digitale: pronto il codice tributo

Istituito il codice tributo per l’utilizzo mediante F24 del credito d’imposta relativo ai versamenti effettuati dalle fondazioni di origine bancaria in favore del “Fondo per la Repubblica Digitale” (Agenzia Entrate – risoluzione 04 ottobre 2022 n. 55).

L’art. 29, D.L. n. 152/2021, conv., con modif. dalla L. n. 233/2021 ha riconosciuto alle fondazioni di cui al DLgs 17 maggio 1999, n. 153, un contributo, sotto forma di credito d’imposta, pari al 65%, per gli anni 2022 e 2023, e al 75%, per gli anni 2024, 2025 e 2026, dei versamenti effettuati al “Fondo per la Repubblica Digitale”, da utilizzare esclusivamente in compensazione, a decorrere dal periodo d’imposta nel quale lo stesso è stato riconosciuto.

Ciò premesso, per consentire l’utilizzo in compensazione del suddetto credito d’imposta, tramite modello F24 da presentare esclusivamente attraverso i servizi telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle entrate, pena il rifiuto dell’operazione di versamento, l’Agenzia delle Entrate ha istituito il seguente codice tributo:
– “6988” – denominato “credito d’imposta relativo ai  versamenti effettuati dalle fondazioni di origine bancaria in favore del “Fondo per la Repubblica Digitale”, di cui all’articolo 29 del decreto-legge 6 novembre 2021, n. 152″.

In sede di compilazione del modello di pagamento F24, il suddetto codice tributo è esposto nella sezione “Erario”, in corrispondenza delle somme indicate nella colonna “importi a credito compensati”, ovvero, nei casi in cui il contribuente debba procedere al riversamento dell’agevolazione, nella colonna “importi a debito versati”.

Il campo “anno di riferimento” è valorizzato con l’anno di riconoscimento del credito, nel formato “AAAA”.

INPS: congedo di maternità e astensione esclusivamente dopo il parto

L’Inps ha fornito alcune precisazioni per la fruizione della flessibilità del congedo di maternità e per l’esercizio della facoltà di astenersi dal lavoro esclusivamente dopo l’evento del parto (Circolare n. 106/2022).

Per potere fruire della flessibilità del congedo di maternità (art. 20, D.Lgs. n. 151/2001), le lavoratrici dipendenti devono acquisire nel corso del 7° mese di gravidanza (e, quindi, prima dell’inizio dell’8° mese) le certificazioni sanitarie attestanti che la prosecuzione dell’attività lavorativa durante l’8° mese di gravidanza non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro. Tali certificazioni devono essere rilasciate da un medico specialista del Servizio sanitario nazionale o da un medico con esso convenzionato, nonché, ove previsto, dal medico aziendale.
Acquisite, pertanto, dette certificazioni, le lavoratrici devono presentarle al proprio datore di lavoro prima dell’inizio dell’ottavo mese di gravidanza affinché lo stesso possa legittimamente consentire la prosecuzione dell’attività lavorativa nell’8° mese, in deroga al generale divieto di adibire le donne al lavoro durante i due mesi prima della data presunta del parto.
Tali certificazioni sanitarie non devono più essere prodotte all’INPS, essendo sufficiente dichiarare nella domanda telematica di congedo di maternità di volersi avvalere della flessibilità, indicando il numero dei giorni di flessibilità. Non è altresì più necessario produrre all’INPS la dichiarazione del datore di lavoro relativa alla non obbligatorietà della figura del medico responsabile della sorveglianza sanitaria sul lavoro.
In alternativa alla modalità “ordinaria” di fruizione del congedo di maternità, è riconosciuta alle lavoratrici “la facoltà di astenersi dal lavoro esclusivamente dopo l’evento del parto entro i cinque mesi successivi allo stesso, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro”.
Dette attestazioni mediche non devono più essere prodotte all’INPS, ma solamente al proprio datore di lavoro prima dell’inizio dell’ottavo mese di gravidanza.
Resta fermo, per le gestanti, l’obbligo di trasmissione all’INPS del certificato telematico di gravidanza da parte di un medico del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato, attraverso lo specifico canale telematico.
Dunque, le lavoratrici continuano a dover presentare domanda telematica di congedo di maternità all’INPS, secondo le consuete modalità, dichiarando in domanda di volere fruire della maternità esclusivamente dopo il parto e indicando se il termine contenuto nell’attestazione medica è fino alla data presunta del parto, o fino alla data del parto, ma senza allegare le relative attestazioni mediche.
Nel caso di intervenuta malattia prima dell’evento del parto (o della data presunta dello stesso), l’inizio del congedo di maternità coincide con l’inizio della malattia e i giorni di ante partum lavorati si aggiungono al periodo di congedo di maternità dopo il parto.
In caso di rinuncia volontaria della facoltà di astenersi dal lavoro esclusivamente dopo l’evento del parto, la comunicazione deve essere tempestivamente effettuata all’Istituto per consentire dalla data della rinuncia la decorrenza del congedo di maternità e i periodi ante partum lavorati si aggiungono al periodo di congedo di maternità dopo il parto.

Aliquota IVA ridotta per dispositivi medici

Le cessioni dei dispositivi medici, a base di sostanze normalmente utilizzate per cure mediche, per la prevenzione delle malattie e per trattamenti medici e veterinari, sono soggetti all’aliquota Iva del 10 % (AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 03 ot…

Firmata l’ipotesi di accordo per il serttore Gas-Acqua

Firmata l’intesa per il rinnovo del CCNL del settore Gas-Acqua scaduto il 31 dicembre scorso.

L’accordo dovrà ora essere votato dalle lavoratrici e dai lavoratori nelle assemble  e riguarda il triennio 2022-2024

L’aumento complessivo (Tec) sarà di 220 euro nel triennio 2022-2024 e l’aumento medio sui minimi (Tem) sarà di 203 euro e distribuito in 3 tranche: 41 euro dal mese di ottobre 2022; 71 euro da ottobre 2023; 91 euro da settembre 2024.

Per quanto attiene alla produttività sarà di 17 euro (14 mensilità all’anno) per gli anni 2023-2024.

Al termine della vigenza contrattuale la verifica dello scostamento inflativo, fra inflazione programmata e inflazione consuntivata, non modificherà i valori economici definiti. Il contratto produrrà un montante complessivo di 3521 euro.

Infine, per i lavoratori che prestano la loro opera in reperibilità da remoto sarà previsto 1 euro in più sull’indennità dal primo gennaio 2023.

L’intesa potenzia il sistema partecipativo sull’andamento del settore, sui modelli organizzativi e sugli scenari del settore energetico sia a livello nazionale che territoriale. L’accordo prevede l’ampliamento e lo sviluppo della formazione con la partecipazione del sindacato nei progetti formativi finalizzati all’adeguamento professionale sui nuovi modelli organizzativi e sulla crescita professionale. Sull’apprendistato aumenta la quota di ingresso salariale passando dall’attuale 75% all’80%.

Infine, si prevede l’avvio di un percorso che dovrà definire entro l’anno 2023 un nuovo sistema classificatorio focalizzato sull’autonomia, la conoscenza e l’esperienza del lavoratore e il riconoscimento economico di un salario aggiuntivo a livello orizzontale.

Ammesso l’utilizzo a fini difensivi delle registrazioni di conversazioni con colleghi di lavoro

La condotta del lavoratore che abbia registrato le conversazioni intercorse con colleghi sul luogo di lavoro per tutelare la propria posizione all’interno dell’azienda e per precostituirsi un mezzo di prova, deve ritenersi legittima, in quanto risponde alle necessità conseguenti al legittimo esercizio di un diritto. Tanto è stato stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza del 29 settembre 2022, n. 28398.

La Corte d’appello di Salerno confermava la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato ad una dipendente e condannava la società datoriale alla reintegra nel posto di lavoro e al pagamento dell’indennità risarcitoria.

Secondo quanto rilevato dai giudici di merito gli addebiti contestati alla dipendente erano privi di riscontro e, comunque, relativi a condotte di inefficienza o negligenza, conosciute e tollerate da parte datoriale ed anzi conformi alla prassi aziendale praticata fin da epoca anteriore all’inizio del rapporto di lavoro con la lavoratrice stessa.
Tali addebiti non avevano, inoltre, carattere di gravità e non giustificavano l’irrogazione della sanzione espulsiva, essendo, invece, al più sanzionabili con una misura conservativa, secondo le previsioni del contratto collettivo di riferimento.

La Corte territoriale, escludeva, tuttavia, nel caso in argomento, il carattere ritorsivo del licenziamento. Lo stesso non poteva, difatti, considerarsi provato in base alle deposizioni testimoniali raccolte né attraverso le registrazioni di conversazioni tra la lavoratrice e un collega, considerate dai giudici di appello “abusive e illegittimamente captate”, dunque non idonee a costituire fonte di prova.

In sede di legittimità la lavoratrice, a mezzo ricorso incidentale, ha censurato la sentenza d’appello, avendo questa escluso la ritorsività del licenziamento sulla base di un presupposto errato, ovvero la non utilizzabilità delle registrazioni dei colloqui tra presenti.

Il ricorso della lavoratrice è stato giudicato fondato dalla Suprema Corte, la quale ha ribadito che l’utilizzo a fini difensivi di registrazioni di colloqui tra il dipendente e i colleghi sul luogo di lavoro non necessita del consenso dei presenti, tenuto conto dell’imprescindibile necessità di bilanciare le contrapposte istanze della riservatezza da una parte e della tutela giurisdizionale del diritto dall’altra, contemperando la norma sul consenso al trattamento dei dati con le formalità previste dal codice di procedura civile per la tutela dei diritti in giudizio.
Tanto premesso, il Collegio ha osservato che deve ritenersi legittima la condotta del lavoratore che, come nella fattispecie in esame, abbia effettuato le predette registrazioni per tutelare la propria posizione all’interno dell’azienda e per precostituirsi un mezzo di prova. Tale condotta, difatti, risponde, se pertinente alla tesi difensiva e non eccedente le sue finalità, alle necessità conseguenti al legittimo esercizio di un diritto.

Da tanto è discesa la cassazione della sentenza impugnata, la quale, pur richiamando precedenti di legittimità, aveva deciso di discostarsene, assumendo che le conversazioni tra la lavoratrice e il collega fossero di per sé “abusive e illegittimamente captate e registrate”, senza in alcun modo indagare sulla ricorrenza dei requisiti a cui è subordinata la legittimità a fini di prova delle registrazioni di conversazioni tra presenti, accertamento che si rende tanto più necessario in relazione alle difficoltà di assolvimento dell’onere probatorio gravante sul lavoratore che denunci la ritorsività del licenziamento intimatogli.